Le lavorazioni che conservano il suolo alla Fiera di Santo Stefano di Lorenzo Benvenuti - Fiera Santo Stefano - Concordia Sagittaria

Le lavorazioni che conservano il suolo alla Fiera di Santo Stefano di Lorenzo Benvenuti

La Fiera di Santo Stefano di Concordia Sagittaria quest’anno dedica una intera mattina alle prove di macchine specializzate nella gestione conservativa dei suoli: semina su sodo e lavorazioni minime e conservative. Trattori e attrezzature di avanguardia sui campi vicino alla fiera con la supervisione tecnico scientifica di Veneto Agricoltura.

Sono attrezzature già diffuse nel Veneto ma non quanto dovrebbero esserlo. La gestione conservativa del suolo è infatti un obiettivo inderogabile. Pensate che sui suoli agricoli della UE incombono gravi minacce: erosione, desertificazione per assenza di sostanza organica, perdita di biodiversità, eccesso di rame. Questi fenomeni, a causa dei cambiamenti climatici, si manifesteranno accentuati negli effetti, su più ampie porzioni di territorio.

Approfondiamo insieme alcuni temi propri dell’Agricoltura Conservativa.

* * *

Le lavorazioni che conservano il suolo sono sempre lavorazioni poco intense, quasi sempre superficiali, che non rivoltano il terreno, che lasciano il residuo vegetale sulla superficie. Mantenere coperto il suolo con vegetazione viva o con residui colturali lo protegge dall’erosione idrica ed eolica e favorisce i processi di degradazione della sostanza organica propedeutici alla formazione di humus. Infatti, la copertura vegetale (viva o morta) da un lato smorza l’energia cinetica della goccia d’acqua di pioggia evitando in tal modo che siano scalzate dal substrato particelle di suolo che, prive di legami, sono facilmente trasportate per scorrimento superficiale dell’acqua verso la rete irrigua e da questa ai fiumi e ai mari. La seconda azione è di rallentare il deflusso delle acque in eccesso (run-off), trattenendo l’acqua sul campo e favorendone l’infiltrazione (incremento della riserva idrica – ricarica delle falde).

* * *

Non lavorazione

Quando vi sono le condizioni, la migliore lavorazione conservativa è la “non lavorazione”: in questo caso il terreno non è “mai” lavorato ed è direttamente seminato. L’interazione fra organo meccanico e suolo è limitata alla linea di semina. Tuttavia, affinché la tecnica della semina su sodo consegua i suoi obiettivi agronomici ed economici è necessario rivoluzionare l’intero modello produttivo, adottando strategie diverse a seconda della coltura, dell’ambiente e del mercato. Sotto il profilo biologico, la semina su sodo garantisce il raggiungimento di livelli economici soddisfacenti quando il terreno è in grado di sviluppare rapidamente i processi di degradazione della biomassa vegetale e, in tal modo, riciclare altrettanto rapidamente i nutrienti. Sotto il profilo della meccanizzazione, non è solo necessario scegliere con cura la seminatrice ma dev’essere rivisitato l’intero parco macchine che opera sul terreno al fine di evitare la formazione di ormaie. Inoltre, l’applicazione di questa tecnica porta già al secondo anno all’insorgere di problematiche diverse da quelle con cui ci si confronta con le lavorazioni convenzionali. Ad esempio tende a instaurarsi una flora infestante diversa, compaiono parassiti e patogeni inusuali (come ad esempio le limacce). Sono tutti problemi superabili che però richiedono dedizione e conoscenze agronomiche.

Si può quindi affermare come la “non lavorazione” permetta di raggiungere più rapidamente gli obiettivi propri dell’agricoltura conservativa, ma chieda un’attenta analisi preliminare e molti cambiamenti nella strategia produttiva.

* * *

Lavorazioni conservative

Appena poco meno complessa è la gestione conservativa dei suoli perseguita adottando tecniche di minima lavorazione. La minima lavorazione del suolo può essere una valida alternativa alla semina su sodo perché consente, se correttamente applicata, di proteggere bene il terreno dall’erosione, di rivitalizzarlo sotto il profilo biologico, di ridurre i costi di produzione. La minima lavorazione, però, in molte delle sue declinazioni è un metodo di lavorazione energivoro e costoso che non rispetta i dettami che stanno alla base dell’agricoltura conservativa, alla quale è sempre stata associata tout court senza discernere, fra le diverse applicazioni, quelle che consentono di raggiungere gli obiettivi della conservazione.

Vi è quindi il bisogno di fare chiarezza distinguendo, fra gli interventi di minima lavorazione, quelli che sono conservativi da quelli che non lo sono. E tale distinzione non è banale, proprio perché la classificazione non può basarsi solo sulla tipologia dell’attrezzatura impiegata. La reazione che si ottiene sul suolo e sul residuo colturale, infatti, dipende in larga misura anche dallo stato in cui si trova il terreno e dalla quantità e tipologia del residuo colturale.

Le attrezzature adeguate a svolgere lavorazioni conservative possono essere molto diverse fra loro, munite di dischi o di ancore, o di entrambe, ma molto dipende dalla loro regolazione. Inoltre piccole variazioni nella struttura della macchina, o nelle sue dimensioni, possono renderle inadeguate o utili solo in determinate condizioni agronomiche. Le lavorazioni ridotte e conservative sono quindi un tema complesso privo di soluzioni “a ricetta”. Le molte e diverse situazioni richiedono capacità di analisi e risposte tecnologiche adeguate.

L’agricoltura conservativa richiede che il suolo rimanga sempre coperto, o dalla coltura principale, o da una coltura secondaria, o da una cover crop o, più semplicemente, dai residui colturali.

Il grado di copertura del suolo è quindi l’aspetto che identifica questo modello di agricoltura differenziandolo dall’agricoltura convenzionale (e da quella biologica). Anche in questo caso bisogna porre dei distinguo, cercando di capire la funzione del residuo e la quantità minima richiesta perché tale funzione possa essere svolta con sufficiente efficienza. A tale riguardo la letteratura scientifica indica, per un terreno agricolo in piano, una copertura non inferiore al 30%.

Possiamo considerare questo un valore soglia, che funge da spartiacque fra una lavorazione conservativa e una non conservativa. Ovviamente, come già detto, l’effetto della lavorazione è influenzato dalla quantità di residuo colturale presente. Ad esempio, dopo la raccolta della granella di mais è possibile utilizzare attrezzature aggressive e dotate di utensili con una tendenziale propensione verso l’interramento, perché, grazie all’abbondanza del residuo, manterranno comunque un grado di copertura sufficiente. Viceversa, dopo la soia o la colza, le lavorazioni dovranno essere leggere e realizzate con utensili che non producono nessuna azione d’interramento in modo da mantenere sulla superficie gran parte del poco residuo colturale lasciato da questa coltura. Fondamentale a tal fine, oltre alla tipologia dell’attrezzatura e alla geometria degli utensili, è anche la loro regolazione (profondità, inclinazioni, …) che deve essere coordinata con lo stato del terreno e del residuo colturale. In assenza di ormaie una profondità di lavoro di 12-15 cm è più che sufficiente allo scopo.